+ Dal Vangelo secondo Marco (7,31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Lectio Divina
EFFATA’, APRITI!
La pericope evangelica che la liturgia oggi propone appartiene al capitolo 7 del Vangelo di Marco, un capitolo di transizione, posto tra la conclusione della narrazione del ministero galilaico di Gesù e la svolta della narrazione successiva, a Cesarea di Filippi, quando Gesù inizierà il cammino che lo porterà a Gerusalemme. Questo capitolo 7, apertosi con un’ampia discussione di Gesù con scribi e farisei giunti da Gerusalemme sulla questione delle norme di purità, ha nel suo mezzo una “incursione” di Gesù in territorio pagano. Fuori dalla Galilea, dunque, Gesù incontra prima una donna straniera, di lingua greca e di origine siro-fenicia e poi, nel brano di questa domenica, in pieno territorio della Decapoli, un sordomuto. Questo episodio di risanamento è collocato perciò “fuori dai confini”, fuori dallo spazio “puro”, come a significare che l’azione di Gesù è destinata ad attraversare le linee di frontiera geografiche, culturali, e persino religiose, che gli uomini e le donne continuamente vanno erigendo. Di questa destinazione, i credenti non dovrebbero mai dimenticarsi!
L’incontro con il sordomuto sembra non essere voluto, né cercato: né l’uomo va incontro a Gesù, né Gesù stesso, di sua iniziativa, si muove per raggiungerlo; sono piuttosto dei generici “altri” che si fanno carico del malato, portandolo al Maestro. Questi “altri” sono una bella rappresentazione della preghiera di intercessione, che conducono a Gesù l’umanità sofferente, anche senza che questa ne sia subito pienamente consapevole.
Dell’uomo affetto da sordità non si dice molto, se non che sia muto, o meglio, dice il testo: balbuziente, che si esprime con suoni gutturali, quasi con mugolii. La doppia menomazione indica l’evidente legame tra l’ascoltare e il parlare. Se è impedito l’ascolto, anche la parola non fluisce correttamente, c’è un totale blocco comunicativo.
Il primo gesto di Gesù è quello di separare il sordomuto dalla folla: da una parte questa separazione dice che l’incontro e la guarigione che Gesù regala hanno sempre un tratto di intimità, quasi avvolti di pudore; dall’altra, questo allontanamento esprime forse la volontà di distanziarsi dal luogo impersonale del vociferare convulso e delle attese miracolistiche.
In disparte, avviene quindi un fortissimo contatto tra Gesù e il sordomuto. I gesti sono intensamente corporei, di pieno coinvolgimento: Gesù prende per mano, tocca prima le orecchie, utilizzando la saliva (che in ambiente greco-romano aveva un valore curativo), poi la lingua. La priorità del contatto fisico ha una prima giustificazione proprio nella sua sordità: poiché egli non può sentire, Gesù crea un contatto con il corpo. Ma in tutta l’attività terapeutica di Gesù, il contatto è sempre vicinanza dei corpi. Il tatto e il contatto creano uno spazio di identificazione: chi si sente toccato “si sente”, percepisce chi è.
Al tatto segue dapprima uno sguardo che si innalza, tracciando una linea verticale tra il Cielo e la terra, e poi avviene la parola, emessa in un sospiro. Gesù invoca un’apertura: Effatà! Questa parola, in realtà, ha tantissimi significati che percorrono l’intero Vangelo: da quando i cieli si sono squarciati e su Gesù è sceso lo Spirito, la vita di Gesù provoca continue aperture, squarci inaspettati, varchi verso il cielo e dal cielo a noi, aprendo la strada all’umano. Sono continue creazioni dello Spirito che generano la vita, conducono ad una nascita: come quest’uomo che, ritrovando la parola (in entrata e in uscita), diventa realmente uomo.
Il finale è segnato da un paradosso che segna tutta l’attività di Gesù: egli ordina di non raccontare il fatto a nessuno, ma questo non fa che aumentare la proclamazione della buona notizia che è Gesù. Il Vangelo infatti è qualcosa di irresistibile, che non si riesce a contenere: continua inarrestabile la sua corsa attraverso coloro che ne hanno fatto stupita esperienza.
Sr Enrica Serena
Monastero di Milano