XIV Domenica T.O. – Anno B

+  Dal Vangelo secondo Marco (6,1-6)

 In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Lectio Divina

LO SCANDALO E LO STUPORE DELLA FEDE

La prima lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, ci offre alcuni elementi chiave. Ezechiele è un sacerdote ebreo che si trova a Babilonia, in esilio insieme al suo popolo e in questa situazione assiste ad una visione maestosa della gloria divina, in mezzo alla quale Dio gli rivolge la parola affidandogli la missione di profeta. Tre cose importanti vengono dette in questo brano:
Dio dice che Ezechiele vivrà un fallimento, perché troverà ostilità e ribellione; poi, per due volte dice che questa ribellione non è contro il profeta ma è contro Dio stesso; infine, aggiunge che il fallimento non renderà vana la missione del profeta, perché l’obiettivo di Dio non è il successo, ma garantire la sua presenza in mezzo al popolo, presenza di cui il profeta era il rappresentante più autorevole, perché a lui Dio parlava ed egli diventava portatore della sua parola, cioè della sua viva presenza. «Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio…”. Ascoltino o non ascoltino, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro» (Ez 2,5). Il popolo avrà così la possibilità di conoscere che Dio non è condizionato dalla risposta dell’uomo, non teme l’umiliazione, ma agisce sempre con amore gratuito, fedele e libero.
Questi elementi illuminano il vangelo di questa domenica.
Sin dall’inizio anche la missione di Gesù è avvolta dall’ombra del fallimento.
Dubbio, incredulità, incomprensione, sono la reazione comune riservata a Gesù, senza eccezione della madre e dei suoi fratelli (cfr Mc 3,31-32). Nelle sue parole e nel suo agire tutti riconoscono uno spirito potente, soprannaturale, ma si chiedono: sarà davvero lo Spirito che mosse i profeti o si tratta di un altro spirito? Sarà lo Spirito buono, che viene da Dio, o lo spirito cattivo, che viene da Satana? La risposta dovrebbero trovarla proprio nelle parole e nelle opere di Gesù, perché questo non accade?
Il grande scandalo, letteralmente l’ostacolo, la pietra d’inciampo, che impedisce loro di riconoscere in Gesù non solo il vero profeta, ma lo stesso Figlio di Dio, è racchiuso nelle domande che la gente di Nàzaret si pone: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?» (6,2- 3). Quello che a loro non torna non è la grandezza della sapienza e dei prodigi di Gesù, ma che questa grandezza si trovi nella carne di un uomo come loro, uno di loro, un compaesano che conoscono bene, un figlio, un fratello, che lavora, che mangia e beve… Dio non può scendere così in basso, in tanta normalità e quotidianità, alla portata di tutti! Di quale scandalo si tratta dunque, se non dello scandalo dell’incarnazione? Lo scandalo di un Dio che si fa carne, uno di noi, uno “come noi in tutto, eccetto il peccato”. Lo scandalo dell’umiltà di Dio!
Anche nel caso di Gesù, come per Ezechiele, la ribellione della gente non è verso ciò che dice o fa il profeta, ma “è contro Dio”, contro un Dio che disattende e delude aspettative, che sconvolge e contraddice certezze e abitudini, e soprattutto smonta l’idea del Dio delle grandi emozioni, dagli effetti speciali, o anche il Dio della verga, che fa ordine e pulizia, che non si contamina con le cose del mondo e che soprattutto premia i bravi, i buoni e i fedeli: tutto sommato un Dio che da una parte ci conferma e dall’altra non disturba troppo i nostri affari.
Sarà proprio lo scandalo di un Dio fatto carne, debole con i deboli, a far crescere tra i Giudei l’ostilità verso Gesù, la volontà di lapidarlo, il motivo della sentenza di morte: «… perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33). Tuttavia niente impedirà a Gesù di vivere la sua missione fino in fondo, pur nel totale fallimento. Da buon ebreo è consapevole del destino di ogni vero profeta: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (6,4), ma sembra anche ormai consapevole di non essere solo un profeta della parola di Dio! Sa di essere la Parola stessa fatta carne, la Parola “per mezzo dalla quale tutto è stato fatto e senza la quale nulla è stato fatto di ciò che esiste” (cfr Gv 1,3), per questo Gesù si meraviglia della loro incredulità (6,6), perché è proprio la vita donata a rendergli testimonianza.
Viene spontaneo chiedersi se la gente, i Giudei, i suoi non lo vedevano, non riuscivano a vederlo o avevano paura di vederlo?
Il mistero dell’incarnazione è sempre anzitutto uno scandalo per la fede!
Ma paradossalmente è proprio questo scandalo la fonte dello stupore della fede!
Entrambe le cose! Scandalo, perché se Dio ha fatto sua la nostra carne, non è più possibile separare la carne da Dio e in ogni carne, senza distinzione di lingua, razza, condizione, si nasconde e si rende presente Dio: questo non sempre ci piace, qualche volta ci destabilizza e sempre ci interroga.
Stupore, perché se “tutto è stato fatto per mezzo della Parola” che è Gesù, allora ogni cosa creata è buona, il mondo è portatore di lui, la realtà è già sacra e come tale va vissuta; allora la nostra umanità è il bene più grande che abbiamo, anche quando è negata, umiliata, ferita, tradita, uccisa, allora la vera dimora di Dio siamo proprio noi.
«Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti, ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1,24-25). «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezza, perché dimori in me la potenza di Cristo» (seconda lettura, 2 Cor 12,9)

Sr. Emanuela Francesca, monastero di Lovere