XI Domenica T.O. – Anno B

+  Dal Vangelo secondo Marco (4,26-34)

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Lectio Divina

“Nel silenzio il seme cresce e germoglia”

“Senza parabole Gesù non parlava alla folla, ma in privato ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa”. Perché Gesù parla in parabole, se non è così facile capirle? Qualche versetto prima Gesù fa un distinguo: “A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché guardino ma non vedano, ascoltino, ma non intendano” (Mc. 4,11).

Ovviamente con il termine “fuori” Marco non voleva indicare un luogo, ma si potrebbe dire, una condizione del cuore. Il cuore umano può essere un cuore disponibile o chiuso ad accogliere un mistero che lo supera. Del resto ogni cristiano è coinvolto in prima persona in questa opposizione. L’evangelista Marco, che evidenzia nel suo vangelo questa opposizione tra il “voi” – dei discepoli – e “quelli che sono fuori”, lo fa su un’esperienza molto concreta della comunità delle origini: di fronte al Vangelo del Regno, alcuni comprendono e altri no. Perché? Non si tratta semplicemente di capire o no le parabole del Signore, ma è l’intera storia di Gesù che si presenta come una “parabola” (i biblisti precisano che il testo greco non dice “tutto viene esposte in parabole” ma “tutto ACCADE” in parabole). Parabola non indica più un modo di insegnare e di parlare, ma una realtà che rinvia oltre, una vicenda che racchiude un senso da scoprire. La ragione per cui quelli di “fuori” non comprendono sta appunto nel fatto che rimangono “fuori”: solo dall’interno dell’adesione del cuore alla sequela di Cristo (con tutte le resistenze e contrapposizioni che si vivono), è possibile prendere parte ai segreti del Regno, conoscendone lo spessore  con il cuore – in senso biblico -. Noi oggi, davanti a questa parola, dove ci troviamo? In chi ci identifichiamo? Siamo tra i discepoli, a cui Gesù confida i suoi segreti o siamo quelli “di fuori”?

Come il cuore dei discepoli di allora anche il nostro cuore, oggi, rimane perplesso, e a volte sgomento: “se la vicenda di Gesù è rivelazione di Dio non dovrebbe essere chiara e coinvolgente per tutti? La storia personale, ecclesiale, mondiale non andrebbe meglio, piuttosto che essere ferita da lotte, prove, e tribolazioni? Se noi scorriamo la Sacra Scrittura, fin dall’Antico Testamento ci accorgiamo che non ci deve meravigliare se la Parola di Dio è sottoposta alla contraddizione. Ciò fa parte del piano di Dio. La Parola è giudizio, è spada a doppio taglio (Eb. 4,12): luce per chi ha il cuore limpido; tenebra per chi, nella sua libertà sceglie e decide altro: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv. 1,11).

Le brevi due parabole di questa domenica sono come uno squarcio di cielo terso e frizzante dopo una notte di tempesta: il Regno di Dio è come il seme, che cresce da sé, senza che l’uomo possa farci nulla. Gesù intende assicurare al discepolo che il Regno è presente, e cresce, cresce, cresce silenziosamente. Non sono gli uomini che danno forza al Regno, né le loro resistenze e … peccati sono in grado di trattenerlo e ritardarne l’avvento. Del resto la vita del Figlio di Dio non ha forse percorso la medesima parabola? Egli, il Messia, che avrebbe dovuto agire con potenza e successo, muore solo, nudo come un malfattore, abbandonato dai suoi, e il suo Regno annunciato, sembra destinato a finire, sepolto con lui. Lo sconforto dei discepoli di Emmaus è totale: “Si fermarono, col volto triste … noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”. (Lc. 24,17.21). Alla scuola della Parola di Dio e della vita di Gesù noi impariamo che il Regno dei cieli non segue i criteri mondani del grandioso e appariscente, ma quelli umili e nascosti. La lezione è chiara: il Regno è presente nella storia, come era presente nella vita di Gesù: come seme nella terra che silenziosamente e nascosto ai nostri occhi, piano piano germoglia e fruttifica. Il Regno è opera di Dio: “Il seme nella terra, dorma o vegli, di notte o di giorno, germoglia e cresce” (Mc. 4,27).Il Regno si compirà certamente, perché è di Dio. Occorre pazienza e piena fiducia in Lui e nella sua parola.

Così la seconda parabola del Vangelo odierno ci presenta il contrasto tra la piccolezza del seme di senapa – “è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra” – (Mc. 4,31)  e la grandezza poi dell’albero, che si fa riparo e casa per gli uccelli. Quanto è forte in noi la ricerca del fare “audience”, del successo, della apparenza!? Il Regno di Dio, già vivo e operante nella nostra storia, viaggia su altre coordinate: la piccolezza, l’umiltà, l’insignificanza … solo questione di tempo e di serena fede: il tempo della mietitura è certo: la spiga sarà piena di gustosi chicchi e il granellino di senapa, divenuto grande arbusto sarà sicuro riparo per gli uccelli del cielo.

Sr. Maria Amata – Monastero Santa Chiara –Bra (CN)