VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

+ Dal Vangelo secondo Luca (6,17.20-26)

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate,
perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.
Allo stesso modo infatti agivano
i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Commento

Il Vangelo delle Beatitudini ci raggiunge in questa domenica con tutta la sua forza e luminosità. La versione dell’Evangelista Luca pone questo discorso in un contesto differente dall’Evangelista Matteo e il dato, che può sembrare un dettaglio, secondo quanto sottolineato da alcuni commentatori è invece significativo. Se la montagna può essere considerata il luogo per eccellenza della rivelazione di Dio e del suo pensiero, dove le parole acquistano inevitabilmente un valore magistrale, la pianura è piuttosto il teatro delle grandi battaglie, dove è necessario lottare per scegliere e confermare la propria adesione alla verità. Ponendo le beatitudini in pianura è come se Luca facesse estrarre al Signore Gesù la spada di fuoco della sua parola per discriminare e trafiggere l’anima (cf. Lc 2,35) del suo uditorio, trasformando un discorso di rivelazione in una precisa esortazione al combattimento spirituale. (cfr Roberto Pasolini)

La lotta è quindi l’invito centrale della liturgia di oggi, lotta espressa da Geremia con le immagini del tamerisco del deserto e dell’albero piantato lungo la riva del fiume, sottolineando come tutto si svolga in quel “santuario” che è il cuore umano. Lì, prima di tutto, possiamo confidare nel Signore, o allontanarci da Lui o, come indica il salmo, trovare gioia nella legge del Signore e accogliere con stupore il buon esito del nostro operare in sinergia con la volontà di Dio Padre, oppure sperimentare la dispersione (come pula) del nostro agire autoreferenziale.

La lotta è sottesa anche all’accostamento tra le beatitudini e i guai, che rende molto immediato il verificare l’orientamento del nostro cuore. Infatti solo un cuore rivolto e radicato nella fede nella resurrezione (seconda lettura) può approdare a quella novità che rende “ogni circostanza” un‘occasione in cui professare la propria confidenza in Dio Padre, rinunciando a quegli atteggiamenti che i “guai” del Vangelo possono evocare. Possiamo tradurli come sicurezza che viene dal possedere, soddisfazione che deriva dall’appagamento dei propri “capricci”, allegria superficiale e fugace per le piccole rivincite e i successi personali e consenso che arriva dall’attenzione all’apparenza, o peggio, dal compromesso con la menzogna e l’ingiustizia.

Questa lotta per essere testimoni della resurrezione è una via di beatitudine perché progressivamente ci alleggerisce di ciò che è accessorio e ci concentra su ciò che è essenziale, riducendo il nostro bisogno di controllo e di difesa e allargando lo spazio della disponibilità e della relazione d’amore, libera e gratuita.

Il vero “beato” è Gesù e noi siamo chiamati a diventare tali lasciandoci sempre più plasmare dallo Spirito come figli, nel Figlio.

Sr Cristiana

Monastero S. Chiara – Leivi