Ss. Trinità – Anno A

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Lectio Divina

La solennità della Santissima Trinità, che celebriamo in questa domenica, ci annuncia che Dio non è in se stesso
solitudine, ma comunione, relazione d’amore. Il Dio in cui crediamo, rivelato da Gesù, è il Dio che fin dal principio vuole intessere rapporti con le sue creature. E noi creati a sua immagine siamo spinti alla comunione. Gesù ci annuncia un Dio che si relaziona, si dona, si offre. La perfetta comunione che caratterizza la relazione tra il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo che apre all’umanità la possibilità di entrare in questa dinamica di amore e di dono reciproco.
Il vangelo di questa domenica, ci racconta in tre versetti chi è Dio e cosa a che fare con noi.
Dio è misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà (1 lettura) e può compiere solo operazioni
benefiche verso l’uomo e il mondo; tale è il Figlio, che nella sua esistenza è passato facendo del bene a tutti e
guarendo gli uomini dalle loro infermità (cf. At 10,38).
Il brano proposto (Gv 3,16-18) si trova all’interno del capitolo terzo del vangelo secondo Giovanni, dedicato in
particolare al dialogo tra Gesù e Nicodemo ed è strettamente collegato con i due versetti che precedono e con i due
che seguono.
“Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Questo è l’inizio del nostro testo evangelico e ci parla di un progetto, della sua realizzazione e dei suoi obiettivi. In queste parole Giovanni racchiude il perché ultimo dell’incarnazione, della croce, della salvezza: ci assicura che Dio da sempre considera il mondo, ogni uomo e ogni donna, più importanti di se stesso. L’amore di Dio, che è lo Spirito, ha preso la forma del Figlio Gesù Cristo. Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con il verbo dare (non c’è amore più grande che dare la propria vita…), un verbo di mani e di gesti. il Figlio dato sottolinea la modalità dell’amore di Dio: la follia della croce. Modalità che rinvia a quanto detto nei versetti precedenti che parlano della necessità dell’innalzamento del Figlio dell’uomo (Gv 3,14-15) fondandola sulla continuità con il gesto di Mosè che innalzò il serpente nel deserto affinché chiunque lo guardasse, avesse vita. L’evangelista Giovanni ci invita a vedere in Gesù, concretamente nel suo farsi uomo, nella sua vita e, soprattutto, nella sua Croce la gratuità dell’amore del Padre.
Solo in Cristo c’è la salvezza, coloro che credono in lui hanno la vita. Il vangelo odierno riparte da questa certezza
basilare: l’amore di Dio verso il mondo, la creazione e le creature. La missione profetica di Gesù, quella che l’evangelista sta ricordando a Nicodemo e a noi, è far conoscere come Dio ha manifestato il suo amore verso il mondo e gli uomini. Tramite un dono senza eguali, quale è il Figlio unico e prezioso. Gesù narra con la concretezza della sua vita, fino al dono della vita sulla croce, l’amore immenso di Dio per gli uomini e per la creazione tutta. Questo è il progetto di Dio: la salvezza e la vita del mondo, non soltanto degli uomini, ma del mondo intero, terra e mare, piante e animali. Dio ha donato al mondo il suo Figlio perché lo ama e vuole che viva in pienezza cioè che abbia la vita eterna. Il concetto giovanneo di vita eterna comporta la pienezza e la perfezione dell’esistenza in ogni sua dimensione, la reale possibilità fin da ora di raggiungere la pienezza del proprio essere personale, portando a pieno sviluppo le umane potenzialità. Infatti per l’evangelista il contrario di vita eterna, non è semplicemente la morte, ma piuttosto la rovina: esso evoca infatti la distruzione di sé ed il fallimento dell’esistenza.
“Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Il Figlio non è stato mandato per condannare, ma per salvare, per nutrire di pienezza, perché chiunque crede abbia più vita. Quello che spiega tutta la storia di Gesù, quello che giustifica la croce e la Pasqua non è il peccato dell’uomo, ma l’amore per l’uomo che assume la forma del perdono di Dio per colui che pecca e che peccherà. Dio ha mandato Gesù non per condannare il mondo, ma per salvarlo tramite un gesto di Dono gratuito. Dio non rinuncia a cercare comunione con gli uomini. Il Dio trinitario è il Dio che non sta senza l’uomo. E l’uomo, situandosi per fede in Cristo e lasciandosi guidare dallo Spirito abita l’agape, l’amore, e così conosce la comunione con Dio.
“Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Davanti all’amore con cui Dio ha amato il mondo, la sola opera richiesta è la fede nel Figlio, l’adesione a Cristo riconosciuto come Figlio di Dio e come colui che rivela chi è il Padre. Dio ha manifestato e realizzato il suo progetto di salvezza, ma lascia all’uomo la libertà di aderire con la fede al suo dono. Anche l’immenso amore di Dio è vulnerabile: proprio perché ama, accetta pure di essere rifiutato. Eppure resta sempre disponibile: grazie all’amore eterno dei Tre il mondo può realmente trovare la salvezza.

“E poiché tutti noi miseri e peccatori non siamo degni di nominarti, supplici preghiamo che il Signore nostro Gesù
Cristo Figlio tuo diletto, nel quale ti sei compiaciuto, insieme con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie così come a te e a lui piace, per ogni cosa, lui che ti basta sempre in tutto e per il quale a noi hai fatto cose tanto grandi. Alleluia”. (San Francesco FF66)

Suor Maria Chiara

Monastero di Lovere