IV Domenica di Pasqua – Anno A

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (10,1-10)

“In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.

Lectio Divina

Nel Vangelo di oggi incontriamo il pastore che entra nell’ovile per far uscire le sue pecore e per guidarle verso nuovi pascoli. Possiamo osservare che l’immagine del pastore e delle pecore che l’evangelista Giovanni ci presenta è come “capovolta” rispetto a quella che conosciamo dagli evangelisti Matteo (18,12) e Luca (15,4). I sinottici ci presentano un pastore che esce alla ricerca della pecora smarrita per riportarla all’ovile. Qui il pastore entra nel recinto delle pecore per chiamarle fuori e condurle verso grandi pascoli. Là vediamo un’opera di riconciliazione e di ritorno a casa, qui un’opera di liberazione e un cammino verso la pienezza della vita. È un esodo che ha il sapore della libertà e della Pasqua. Le azioni del pastore esprimono intimità e appartenenza, iniziativa, integralità e guida sicura. In primo luogo, il pastore manifesta nei confronti delle pecore una profonda intimità: egli le conosce per nome, quindi sono sue, gli appartengono non per una coincidenza fortunata, ma sono state da lui “comprate a caro prezzo” (cfr. 1Cor 6,20) ed esse sono chiamate a glorificare Dio per questo dono. Egli agisce con l’energia dello Spirito, infatti, le spinge fuori da un recinto diventato troppo stretto per esprimere la libertà e la bellezza della sua Pasqua che ha fatto nuove tutte le cose.
Poi, il pastore opera con integralità: non trascura nessuna pecora, non lascia indietro un agnello o una pecora azzoppata, tutti devono camminare sulle sue orme seguendo la sua voce dolce e misteriosa. Infine, egli è una guida sicura e affidabile: nessuno vorrà cercare un altro pastore o un maestro diverso. Pensando a questa figura san Francesco scrive nelle sue ammonizioni: “Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!” (FF 155). Con questa esortazione il Santo di Assisi ci esorta a imitare il Signore, a varcare la porta del suo amore per divenire suoi testimoni limpidi e audaci.
Con la similitudine del recinto e della porta, l’evangelista Giovanni ci regala una ulteriore immagine collettiva della salvezza: la porta è Gesù, una porta di liberazione e di speranza, una soglia che bisogna calpestare per trovare pascolo, per gustare una vita finalmente risvegliata e consapevole. Dobbiamo entrare in lui, per uscire con lui e dietro a lui poiché il Signore è una porta aperta su uno spazio senza limiti. “Cristo è la porta del Padre, attraverso la quale sono entrati Abramo, Isacco, Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la chiesa” (sant’Ignazio di Antiochia). Anche santa Chiara ci soccorre con la sua sapienza: “Stretta è la via e il sentiero, ed angusta la porta per la quale ci si incammina e si entra nella vita, pochi sono quelli che la percorrono e vi entrano; e se pure vi sono di quelli che per un poco di tempo vi camminano, pochissimi perseverano in essa. Beati però quelli cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine!” (FF 2850). Chiediamo per noi la grazia di questa perseveranza capace di superare i labirinti delle nostre contraddizioni.

nadiamaria, sorella povera del monastero di Lovere