+ Dal Vangelo secondo Giovanni (21,20-25)
In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.
Lectio Divina
Sono trascorsi 50 giorni dall’evento della Pasqua, ma per l’evangelista Giovanni, noi ci troviamo ancora “in quello stesso giorno” dopo il sabato. È il giorno del compimento, della risurrezione e del dono dello Spirito; è il giorno dell’unità: di Gesù Cristo con il Padre, nella pienezza del Suo Spirito, di Gesù Cristo con i suoi discepoli, con la Chiesa. In questo compimento, ecco che il dono dello Spirito non appare come qualcosa di evanescente, ma è strettamente legato alla persona stessa di Gesù, al suo corpo. Gesù mostra ai discepoli le mani e il fianco. Sono le parti del corpo segnate dai chiodi e dalla lancia. Il Crocifisso “consegna lo Spirito” dalla croce e il Risorto lo alita nel cenacolo la sera del primo giorno della settimana, principio della nuova creazione. Gesù soffia sulla comunità lo Spirito come Dio Padre fa nell’uomo perché diventi essere vivente (Gn 2,7). Come sottolinea molto bene fr. Luciano Manicardi, monaco di Bose:
Cosa fa il Risorto? Dona. Dona lo Spirito. Trasmette la sua vita. Alita sui discepoli il respiro che lo ha fatto vivere, trasmette loro la forza e la dolcezza del suo vivere affinché anch’essi siano capaci di tale forza e di tale dolcezza. E il vangelo (Gv 20,19-23) sottolinea che lo Spirito proviene dal corpo del Risorto. È dal corpo di Cristo, luogo del suo vivere e del suo amare, che il Risorto dona lo Spirito. Il Risorto “mostrò ai discepoli le mani e il fianco” (cf. Gv 20,20): è dal corpo che ha vissuto e amato che procede lo Spirito. Lo Spirito effuso procede dal corpo che porta le ferite dell’amore, provocate dall’amare, perché amare è sempre rischioso, è esporsi, è mostrarsi nella vulnerabilità che è la condizione più radicalmente e autenticamente umana. Perché amare è anche perdere. Fino a perdere la vita.
Con il dono dello Spirito il Risorto costituisce la comunità dei discepoli come Suo corpo, animandola e vivificandola con la Sua stessa vita. Anche noi riceviamo il dono dello Spirito, perché possiamo diventare sempre più “corpo”, sempre più comunità di fratelli e di sorelle, incarnati nella realtà concreta del nostro mondo; uomini e donne dello Spirito, abilitati ora a ricevere la nostra missione fondamentale: essere nella storia e nel mondo, icone viventi del Risorto, a nostra volta in grado, per grazia, di “soffiare” vita, di dare vita ad ogni vita, ad ogni corpo, ferito, piagato, mutilato e già morto:
Lo Spirito, come dono che proviene dal corpo del Crocifisso Risorto passa in altri corpi, i corpi dei discepoli, e plasma un corpo di corpi che è la comunità cristiana. Lo Spirito del Risorto è memoria del corpo di Gesù, che trapassa nel corpo dei discepoli per divenire alito e respiro dei discepoli stessi. E come il Risorto dona il suo Spirito attraverso il suo corpo amante, così non vi è altra via per donare lo Spirito nel cristianesimo che non sia il corpo, il corpo che ama, il corpo che si fa atto di amore e di donazione.
Il corpo che da tutto se stesso, fino a perdere la vita!
Sorelle Clarisse
Monastero di Bergamo